Un rapporto a tutto tondo tra attore ed immagini, una provocazione metaforica dei nostri giorni, nello scenario maestoso e misterioso della metropoli italiana per eccellenza, quella Milano da bere, sempre al centro della cronaca, sempre e comunque protagonista.
Un uomo vaga per le sue strade nebbiose, silenziose, cariche di un mistero che sfugge ai più. Una Milano inaspettatamente deserta ed il protagonista si ritrova a vagare, disperatamente solo, per le vie, tentando di trovare un rifugio nel tepore allegro della Galleria, che però è deserta, nei ristoranti illuminati, dove tavoli imbanditi di broccati e cristalli aspettano clienti che non arriveranno mai, nei negozi scintillanti di luci e di colori che però sono desolatamente vuoti. Allora l’uomo, in questa maniacale e terribile ricerca di sé nel deserto della disperazione, ormai chiuso in una introspezione più forte, chiede l’estremo aiuto alla Divinità e si ritrova davanti alla maestà del Duomo, in un ultimo tentativo. Ma il silenzio è fortissimo, schiacciante, assoluto, devastante. Allora l’uomo tenta di romperlo quel silenzio angosciante, colpendo la statua di un santo. E qui inizia la forza del discorso dialettico nella metafora dell’oratorio che diventa chiave di lettura di una ricerca di sé, in una devastante realtà che soffoca gli impulsi vitali.